12/25/2010

LA CONDIZIONE DELLA DONNA IN GIAPPONE

Una delle frasi più frequenti che entra nel nostro quotidiano e che si può adattare ad esso come una veste attillata ed uniforme è: “ogni mondo è paese”.

Non facciamoci spaventare dal titolo e delle migliaia di chilometri intrinseche in esso, no perché l’argomento appartiene al Giappone, ma allo stesso tempo è lo specchio di tutte le società cosiddette moderne... moderne di facciata, ma che nascondono ragnatele in ogni angolo pratico della vita.

Tante sono queste ragnatele che rimane solo un senso di sgomento al pensiero di come si possa contribuire al male anche con un gesto semplice, immorale per quanto d’istinto. Il semplice gesto d’imporre, di comandare e rendere schiava la compagnia di una vita, o una collega di lavoro.

Abbiamo letto il libro di Natsuo Kirino, “Le quattro casalinghe di Tokio”, un libro lontano, di una donna lontana, il tutto che appartiene ad una terra lontana. Ma tralasciando lo sfondo giallo, le pagine parlano della condizione della donna inquadrata in uno spazio piccolo, mentre tutta la società esterna si spande e conquista il mondo con i suoi enormi capitali. Una superficie luccicante, tenebrosamente ricca, ma allo stesso tempo nasconde insani principi che si ripercuotono nella famiglia e di conseguenza nella società.

La donna relegata, la madre relegata, a ruoli marginali, quando invece dovrebbe essere il centro della famiglia il cuore palpitante della casa, ed infine, ruolo complicatissimo il punto di riferimento dei figli, tutto combinato ad una vita professionale e gratificante.

Leggendo questo libro ci siamo accorti che quella distanza, così apparente, che la lettura di un’autrice lontana potrebbe indurre a sospetti, alla fine non si manifestata. Già, il Giappone di Natsuo Kirino è vicino a noi, forse troppo, dietro l’angolo, tra le strade e probabilmente alla nostra stessa tavola.

Attraversato il duemila, tutti ci saremmo aspettati un cambiamento radicale delle cose, una pace di sensi, che avrebbe dovuto portare alla sepoltura di certi comportamenti grotteschi ed equivoci, soprattutto da parte della sfera maschile.

In sostanza non è avvenuto.

In tutto il mondo c’è ancora un uomo che zittisce la propria moglie, rendendola valvola di sfogo delle sue inefficienze quotidiane, del suo essere uomo con la relativa possibilità a questa condizione di ricevere sconfitte e soprusi.

Leggendo queste pagine c’è saltato alla mente l’uomo tanto lontano dal Giappone, ma così uguale nel dna, quell’uomo vive in ogni parte del mondo, in ogni piccola condizione di convivenza: al lavoro, a casa, dietro uno sportello di una banca, o alle poste.

Considera l’altro sesso debole, carne, di cui approfittare quando si presenta la possibilità, la condizione per azzannare, proprio come il lupo con l’agnellino. La sua rabbia raggiunge apice di violenza al momento del confronto e al possibile sorpasso della donna sull’uomo.

Nel 1965 Kiyoko Kitagawa diede una svolta alla condizione della donna nella società giapponese: si sposò e continuò a lavorare. Il suo capo alla Sumitomo Metal Industries, non apprezzò molto la sua dimostrazione di fedeltà all’azienda. Le diede una scrivania accanto alla propria e nulla da fare per 18 mesi, senza nessun incarico lavorativo. Fu allora che Kiyoko Kitagawa cominciò a battersi contro la discriminazione nei confronti delle donne: una lotta che in Giappone sembrava destinata a modificare il rapporto tra i sessi sul posto di lavoro, ma da quello che racconta l’autrice del libro “Le quattro casalinghe di Tokio”, non molto è cambiato.

La signora Kitagawa passava il tempo lavorativo d’impiego dell’azienda leggendo.

Nel 1968 Kiyoko Kitagawa dovette di nuovo toccare con mano le discriminazioni sul posto di lavoro e ne fece gravi spese di morale e ancora di discriminazioni. Ebbe un bambino e nonostante tutto, continuò a lavorare.

Il suo capo le riferì che persino nel mondo degli animali, sono le madri ad allevare i figli, come se fossero le parole più naturali al mondo da comunicare ad una persona. Se avesse lasciato il figlio all’asilo tutto il giorno, si sarebbe dimostrata inferiore ad un cane, ad una belva; parole come macigni.

Malgrado i primi anni poco piacevoli, Kiyoko Kitagawa è rimasta nella sua azienda, tra incomprensioni ed intolleranza. La donna confida che altri superiori sono stati più giusti con lei: hanno apprezzato il suo coraggio e le hanno assegnato incarichi gratificanti. Ma tra questi fiori d’arancio nasce sempre una piantina d’ortica: ciò avvenne quando un direttore del personale disse che normalmente sulle impiegate vengono scritti rapporti mediocri per giustificare un salario più basso e l’assenza di promozioni.

La signora Kiyoko Kitagawa accese un’azione legale, insieme con altre sette impiegate che la seguirono in questa giusta battaglia. Uno scalino d’importanza storica per la lotta all’eguaglianza.

A queste coraggiose è stato saldato un compenso, ma il nostro pensiero va a tutte quelle donne che ogni giorno devono combattere con il razzismo degli uomini, che commettono violenza e ingiustizia di rabbia, per un confronto che eludono da migliaia di anni per paura di un esito tutt’altro che scontato.

La stessa Natsuo Kirino, autrice del libro “Le quattro casalinghe di Tokio”, ha iniziato la sua carriera di scrittrice con uno pseudonimo maschile, altrimenti, nonostante la sua palese bravura, l’avrebbero censurata.
di RAFAEL NAVIO
11.02.2007

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