12/29/2010

Natale 1947

Racconto popolare sui briganti del 900
Natale 1947; Nocera Inferiore, Italia meridionale.


(Per semplificare la lettura e la comprensibilità della stessa i dialoghi sono stati tradotti alla meglio. Per i dialetti, a nostro giudizio, si usa “il modo alla meglio” perché difficile sarebbe una traduzione sincrona e testuale, quindi ci si affida ad un lavoro d’istinto e di percezione, affinché i concetti possano arrivare integri come dalla genesi).


"Ragazzi, è tremendo. Non abbiamo niente da mangiare e questa baracca potrebbe caderci in testa e in ogni momento".

Erano sette, qualcuno già senza genitori dalla nascita, altri li avevano persi durante la guerra. Come una famiglia, s’erano stretti intorno a quel poco che avevano: la loro amicizia. Il più grande di tutti era Giovanni, lui e il fratello Mario e fortunatamente, avevano anche un cognome: Pitoni.
Giovanni, dopo le lamentele, prese la parola cercando di tirare il morale dal pantano.
Qualche riccio nella capigliatura e sporadici peli d’adolescente che imbrattavano la faccia sicura e autoritaria, gli donavano la forza della convinzione e rispetto.

"Ragazzi, riusciremo ad uscirne salvi come il solito, abbiamo sempre fatto così e questa volta non sarà diverso".

Questo quanto riferì, a tutti bastò perché la pelle avvertisse meno freddo e la pancia meno fame. Poi continuò con il solito tono quieto ma autoritario, rivolgendosi in disparte al suo braccio destro, alla persona che aveva più in considerazione. Tralasciando finanche il richiamo di sangue con il fratello Mario.

"Amerigo, cosa proponi? I più piccoli non resisteranno ad un’altra notte fredda e di fame!"

Amerigo, dopo i fratelli Pitoni, era il più grande degli altri; si occupava di procacciare cibo e vestiario per tutta la banda. Ma ultimamente le cose si erano fatte dure e pericolose; chi aveva un tozzo di pane lo teneva stretto come un ramo d'oro, e non lasciava ad altri la possibilità di appropriarsene.

"Non abbiamo altra scelta!”

Strinse le mani tra le ginocchia, schiacciate l’una contro l’altra per raccogliere quanto più calore possibile. Erano rintanati in un cubo di pietre vecchie, un casolare abbandonato alla periferia della città ed Amerigo, guardandosi intorno, scoprì che quello era davvero poco, insomma nemmeno sufficiente per una sopravvivenza ai limiti. In quel luogo di campagna si vedevano poche anime, la maggior parte preferiva riunirsi nel cuore della città, ora che i bombardamenti si erano completamente dileguati. Ma sette ragazzi destavano troppa attenzione, una banda che avrebbe aperto gli occhi anche al poliziotto più assonnato del mondo. Quindi avevano scelto quel buco per rintanarsi e aspettare la luce del giorno per poi muoversi. Il tetto era venuto alla meglio, ma funzionale. Riusciva a tenere lontana l'acqua dal cielo, che in quell'inverno scendeva con la stessa violenza dei bombardamenti del recente passato. Avevano usato lamiere di metallo arrugginite e assi di legno fradice che a malapena riuscivano a reggere il loro stesso peso. Ma il tocco artistico nacque, come il solito, dalla mano di Amerigo, che costruì un tetto efficientissimo come quello di una casa nuova in cemento dell'asfalto impermeabile. Il tetto che, però, gli fece commettere il primo omicidio.
Il ricordo gli era ancora vivo. Quella circostanza pungeva lo stomaco, come la cicatrice gli pizzicava continuamente la faccia: il segno ineliminabile di quella battaglia. La sua prima volta. Un anno era passato da quel momento, ma gli pareva che fosse accaduto da qualche secondo.
Era il Natale del 1946 a Nocera Inferiore, nella periferia di San Mauro, dove dopo tre giorni dalla morte, il corpo del contadino Peppe Gambardella fu trovato senza vita per un taglio alla gola; con tutta probabilità fu lama di coltello.
Il movente: per tutti, senza dubbio, fu fame della guerra.
I sette ragazzini, il 28/12/1946, quando seppero la notizia, corsero da Via Fiano e si diressero nel rione San Mauro per assistere alla scena. C’era qualche poliziotto, vecchi, e qualcuno che pregava tutto in scuro; poi arrivò il prete dalla Chiesa del rione Cicalesi.
Ma quello che è rilevante, sono i fatti che accaddero nella serata del 25 dicembre, quando Giovanni Pitoni, incaricò Amerigo perché portasse del cibo.

Il camion dei tedeschi era abbandonato all'ombra serale di un arancio e l'idea di portare via un po' di frutta gli salì distinto; il piccolo Amerigo aveva fame, ma pensava anche ai suoi amici e soprattutto ai più piccoli che rischiavano di morire per il freddo e per la fame. In tutto, gli bastavano sette arance, non molto grandi, quindi una refurtiva non da galera, comunque abbastanza da guadagnarsi una fucilata dal contadino, padrone di quelle piante e della terra tutto intorno alla casa. Il camion dei tedeschi evidentemente era stato abbandonato da molto tempo. Ad Amerigo quel silenzio non piaceva, quella strana tranquillità, ma era il suo incarico, il compito che la banda gli aveva riservato e Amerigo Troiano non si era mai tirato indietro e sicuramente non avrebbe cominciato quella sera. A mezzanotte sarebbe nato Cristo e forse si sarebbe anche accorto di quanta fame ci fosse in quella parte del mondo.
Si guardò le mani, le braccia e poi cercò le tempie con i palmi aperti schiacciati tra i capelli arruffati.

"Veloce, devo correre veloce, da spingermi al di là, dalla parte posteriore: due salti, tirandomi con le braccia e sono sul telone del camion. Pochi secondi e sono carico di sette arance, il cibo per oggi è fatto. Ma se avessi tempo, potrei rubare anche il telone di questo camion, sarebbe ottimo per il tetto della nostra casa. Ma sto cornuto spara anche alle foglie. Peppe Gambardella, cornuto di merda“.

In inverno alle sei di sera si ha la complicità dell'oscurità. Aveva tredici anni, ma già sapeva che prima d’ogni lavoro doveva controllare se il fratello era con lui. Allora tirò la mano dentro il canale delle due natiche e si accertò che il fratello fosse al suo posto, anche se difficilmente vista la posizione, poteva passare inavvertita alla sensibilità della pelle. Amerigo lo aveva ricavato da un pezzo di ferro che sulle jeep americane si usava per tenere sigillate le latte di carburante sul lato posteriore. Lo aveva rubato come tanti altri oggetti della sua giovane e complicata esistenza. In sostanza non era altro che un’asta d’acciaio, ma la sua fervida e criminale immaginazione aveva scorto un futuro ben diverso per quel metallo.
Poco importava quello che rappresentava quella lama, perché nonostante fosse un ladro, lui aveva un codice: l'amicizia. E ora quel sentimento richiedeva il furto di sette arance, perché dopo i tedeschi, dopo gli americani, il nemico più grande restava la fame; il nemico di sempre. La voce della testa che gli risuonava in quella serata fredda e silenziosa ora era un richiamo insistente.
Allora, una corsa veloce, due salti, un lavoro di braccia per tirarsi su e si sarebbe trovato o con la testa dentro le frasche d'arancio. Corse e non si fermò, non si sarebbe mai fermato, qualunque cosa gli fosse accaduta; ma qualche rumore di troppo, s'alzò in quella sera d’inverno, soprattutto quando prese a calpestare il ferro del tetto che faceva da pilastro al telone. Non passò tempo che il rumore arrivò dove non doveva.

"Chi è là? Ancora sporchi tedeschi? Ora vi faccio un buco nello stomaco grande come una casa. Sono armato ora siamo alla pari e vi faccio cagare tutto quello che m'avete fatto patire a me e alla mia famiglia. Porci. Cani con la rogna”.

I passi pesanti del contadino Peppe Gambardella schiacciavano le pozzanghere di fango e ad Amerigo apparve che quelle gocce inzaccherate gli arrivassero fino al volto. Poi la pioggia che come una concia, venne giù per creare ancora più confusione.
Il cuore è un organo misterioso che comincia a battere, quando tutto il resto del corpo rimane silenzioso ed immobile. Parte da solo, tanto che a domarlo si fa prima a spararsi una pallottola in testa. Così faceva quello di Amerigo e anche se non aveva mai avuto un genitore in tutta la vita, cominciò a chiamare l'aiuto di una madre.

"Oh cazzo, mamma mia, mi hanno scoperto! Come faccio adesso? Questo mi spara! Devo scappare. Ma le arance... O.. No, devo portarle al nascondiglio. Ci sono i piccoli che muoiono di fame. Con questo freddo se non mangiano qualcosa, moriranno tutti. Come cazzo devo fare?"

Fece quello che ogni giovane brigante, ogni animale ferito o di fronte ad un pericolo avrebbe fatto. Tirò fuori suo fratello dalle natiche e si coricò sul telone, aspettando che il nemico fosse abbastanza vicino per azzannarlo. Il fattore aveva il fucile puntato nel vuoto, finché gli arrivava la vista nell'oscurità. Girava intorno e continuava a gridare con la voce tremante, forse stanco di dover saltare in piedi ogni volta che avvertiva un rumore. Per anni aveva tremato per se e per la sua famiglia, completamente sterminata per un gioco di soldati tedeschi ubriachi; ed ora con la libertà, non si capacitava, perché quella paura non fosse scomparsa con la loro cacciata. Evidentemente oltre alla violenza, i tedeschi avevano coinvolto il popolo italiano in un male che si sarebbe rigenerato per anni, nonostante ora fossero lontani migliaia di chilometri.
Peppe Gambardella aveva rosicchiato intorno alla morte tante di quelle volte che sembrava che nell’aldilà non ci fosse richiesta per un uomo come lui, ma questa volta era diverso e la “donna nera“ non gli era mai stata tanto vicino.
Può apparire scontato, ma quando hai il fiato sul collo della “donna nera”, tutto il corpo regredisce fino a fossilizzarsi. Anche Amerigo provava la stessa percezione, aveva tirato via dalle mutande suo fratello e lo teneva stretto con la mano sinistra, mentre con la destra si reggeva sul tetto del camion.
Il fattore girava in tondo con il fucile puntato dove gli capitava, ed ad ogni minimo rumore serale, dell'oscurità, cambiava direzione di scatto. Era nervoso. Tremava. Intuiva che non era stato un cane, quello di prima era un rumore di ferro: quando hai avuto paura per una vita intera riesci a distinguere qualsiasi suono. A quel punto si sarebbe fatto avanti e avrebbe denunciato la sua presenza di predatore. Mancava poco e Peppe n’era cosciente. Ma chi era? Chi poteva nascondersi. Erano tempi di fame, una gallina, un frutto, un uovo, erano tesori inestimabili, che andavano difesi con onore e forza. Era in un momento di lucidità e la possibilità di un tedesco lo aveva abbandonato. È molto difficile da comprendere se non ci si sveglia con la fame. E anche uccidere per lo stesso motivo è altrettanto semplice da condannare, ma per la fame vale la pena di uccidere. Sarà che viene fuori quello che effettivamente rappresentiamo, quello da cui proveniamo, l'indole che appena messi alle strette rinasce primitivamente. È la nostra discendenza animalesca, furiosa, punitiva; ed è fatto irrilevante essere cuccioli o adulti, bisogna uccidere per sopravvivere.
L'oscurità era padrone anzitempo, aiutata dalle nuvole cariche di pioggia, ma illuminate con discontinuità da energici lampi, che rendevano bagliore e poi oscurità, come se qualcuno si divertisse nell'accendere e spegnere la luce di una stanza per l’intera notte.
Amerigo pensò che oramai fosse solo una questione di tempo, poi la canna del fucile sarebbe stata puntata verso il telone del camion, là in alto proprio dove si era appiattito per nascondersi. La situazione era precipitata in pochi attimi e il ragazzo avvertiva che qualcosa non rispecchiava la solita difficoltà. Aveva rubato, infiltrandosi nelle case dei ricchi, dei poveri e anche nelle baracche di zingari, ma mai aveva provato una sensazione come quella. C'erano i lampi, è vero, ma anche gli occhi di quell’uomo nell'oscurità facevano paura. La paura nera, la paura della fine. C'era la presenza della morte. Poi il cane abbaiò, un colpo di fucile si prese l'aria, lasciando il silenzio a tutti i rumori della natura. Diavolo di un fucile, doveva essere a doppia canna quindi muoversi prematuramente poteva essere fatale. Ma che situazione! A che pensare, che fare? Sette arance, la fame, il freddo di dicembre; è possibile che tutto il male del mondo si possa concentrare in esigui particolari insignificanti? Le arance dei bambini ed un fucile probabilmente a doppia canna. Amerigo si toccò lo stomaco ed avvertì il calore come se i pallini già gli fossero esplosi tra l’intestino. Pianse.
Allora, pianse come avrebbe fatto un bambino normale, un adolescente di quell’età. Chi può dire cosa sia effettivamente trovarsi sul baratro della vita? Chi può azzardare dove il cervello ed il cuore possano spingersi in determinati momenti? No, è questo che manca al gran mosaico della vita. Quello che abbiamo è tutto immaginazione, volontà della fantasia nera. Noi e la morte, quella dell'ultimo atto. Amerigo se la sentiva vicina, molto vicina; un altro giro su se stesso, ed il fattore avrebbe notato l'unico posto non setacciato: il tetto del camion. Il calore dallo stomaco gli passò alla parte inferiore: si accorse del liquido caldo che aveva preso padronanza del suo corpo. Allora raccolse coraggio, tutto quello disperso tra il suo corpo e si tagliò energicamente la guancia con il coltello. Diavolo, era come pensava: non avvertii nulla, nessun dolore, ma il sangue zampillava, fluido libero, incontrastato. Il freddo forse combatteva il dolore, e probabilmente anche quella rabbia soppressa dalla paura, ora recitava la ribellione. Proprio per quella rabbia che dal tetto del camion si trovò alla gola del fattore, tenendosi aggrappato alle sue spalle con un braccio e la gamba legata al busto. Sembrava un camaleonte al ramo di una pianta, e allo stesso modo si era mimetizzato tra l'oscurità. Ma il fattore, però, inevitabilmente aveva avvertito il peso e preso dalla furia aveva sprecato l'ultimo colpo, che se avesse avuto la distanza avrebbe bucato una nuvola.

"Chi sei? Figlio di zoccola, ti rompo ò culo!"

Si girò frettolosamente cercando di scrollarsi il peso dalla schiena, mentre al collo il braccio di quel sconosciuto gli soffocava l’aria. Si agitava. Si agitavano entrambi.

"Hai sprecato l'ultimo colpo!"

"Ma chi sei, brutto bastardo?"

Furono le ultime parole della sua vita perché prima che avesse finito, Amerigo gli aveva tagliato la gola. Il corpo dell'uomo era schiacciato nell'erba, la pioggia prima leggera, ora si lanciava di forza su tutto e tutti. Amerigo perdeva molto sangue, e con la tensione in calo cominciava a rendersi conto della situazione. Il cane non abbaiava, forse Amerigo non lo sentiva, le gambe c'erano perché era in piedi, ma non le avvertiva. Poi il lampo, subito un terribile tuono a spaccare vista ed udito.
Il ragazzo era ancora vivo, ma aveva commesso il suo primo omicidio. A soli tredici anni.
Fissò il camion, la pioggia, le arance e il telone.
Si arrampicò ancora sul tetto del veicolo e tagliò il tendone. Completata l’operazione, riprese tutto alla meglio e cominciò a correre, senza direzione, ma lontano da quel posto. Dopo un paio d'ore era riuscito a ritrovare la tana di Via Fiano. Quando Giovanni lo scorse, gli chiese poco.

"Finalmente sei tornato, ero in pensiero! Hai racimolato qualcosa? Ah, arance ottimo! I bambini sono allo stremo".

Le strappò dalle mani di Amerigo e cominciò a svegliare i bambini affinché potessero mangiarle subito. Non era tanto, ma abbastanza da vivere un altro giorno; Giovanni e Mario ne mangiarono una in due lasciando ancora qualcosa agli altri. Poi Giovanni raccolse l’ultima e tese la mano verso Amerigo.

"Tieni, te la sei meritata, voglio sapere cosa ti è accaduto! Riposati".

"Ho anche questo con me".

Amerigo fece vedere telone di plastica rigido, come un trofeo di guerra, qualcosa di cui andare molto orgoglioso.

"Potremmo usarlo per coprirci la testa dalla pioggia, come adesso. Vado sistemarlo".

"No, mangia l’arancia e riposati. Hai una brutta ferita, dopo voglio controllare" rispose Giovanni accarezzandogli la faccia, poi si rivolse al fratello Mario.

"Vai tu sul tetto e stendi il telone, prima della pioggia ci uccida tutti. Se non fosse stato per Amerigo………"

Una volta soli, Giovanni fece sedere il ferito e cercò di pulire la ferita con qualche pezza imbevuta d’acqua piovana. Senza chiedere niente aveva intuito, dalle condizioni dell’amico, che aveva rischiato tanto.

"D'ora in poi non ti permetterò di rischiare più la vita. Stai tranquillo! Piuttosto mangeremo topi".

Puliva la ferita cercando di rasserenare l'amico che tremava come una foglia.

"E dove li trovi di topi, per la fame anche loro sono spariti dalla zona".

"Non ti preoccupare, li troveremo, anche a costo di scavare fino al centro della terra" riprese Giovanni, con un sorriso che sapeva tanto di scherzo, inteso a rasserenare il pianto improvviso.

"Ho ucciso un uomo per rubare le arance".

"No, tu non hai ucciso nessuno, lo hai sognato. Resta tranquillo è stato solo un sogno, un terribile sogno. È comunque sia, sei un eroe, e non un assassino; un eroe della terribile guerra alla fame. Ogni giorno combattiamo perché essa non ci sconfigga e ci uccida. Non dimenticarlo mai. Ci chiamano figli di zoccola, ma noi siamo meglio di loro. Ricordalo! Ora aspettiamo che nasce Gesù, si domani è Natale".

Amerigo continuava a piangere, forse spinto anche da un altro motivo, da un'altra preoccupazione.

"E tu dimenticherai, Giovanni?"

"Cosa vuoi dire?"

"Voglio dire che hai la scuola, sei intelligente e quando le cose andranno un poco meglio tu te ne andrai! Via lontano dalla nostra miseria".

Giovanni a quelle parole, lasciò che le ferite fossero esposte ad un poco d'aria, poi si rivolse preciso negli occhi dell'amico.

"No, non vi lascerò mai! Saremo una grande banda, la più grande di tutta la storia. Ci aiuteremo l'uno con l'altro, lavoreremo perché i più piccoli possano studiare. Una volta grandi ed istruiti, nessuno ci fermerà, parleranno della nostra infanzia da cane e faranno la voce grossa con chi ci ha calpestati. Presenteremo il conto della nostra fame…….."

"Allora siamo una banda?"

"Certo, Amerigo, la banda dei topi, perché per vivere abbiamo dovuto ingoiare topi. Non dimenticheremo mai il nostro passato, così potremo goderci tutto il potere che conquisteremo".

Amerigo aveva un sorriso che gli era salito fino alla ferita; sentiva la faccia tirare proprio in quel punto, ma preferì godersi quel momento e sconfisse il dolore.

"La banda dei topi, mi piace. Non lo dimenticherò, questo è un giuramento che mi fai, vero? E non dimenticherò nemmeno che mi sono pisciato addosso, che ho ucciso un uomo. No! Non dimenticherò niente di questa serata".

"Va bene, ma ora calmati e cerca di riposare ".



Ora che la fame era ritornata furiosa, Amerigo pensava ancora a quel giorno di un anno prima, fissando quel telone dei tedeschi. Pensò a quel giorno, proprio il giorno di Natale, il Natale del 1946 dalla fame furiosa.
Da quel momento, aveva ancora tentato di rubare, ma col tempo, le cose erano diventate sempre più difficili. Ancora più difficili.
Purtroppo i topi erano un pasto frequente, anche se riuscivano a nascondere la verità ai bambini che scambiavano la poltiglia per carne di vitello.
Il telone sopra la testa e la domanda dell’amico Giovanni, gli avevano ricordato proprio quel Natale di un anno prima che per sette arance dovette uccidere un uomo. Ma sapeva con sicurezza che in quella sera era nato qualcosa d'importante, qualcosa che si portava dentro il cuore da un anno. Un giuramento che l'avrebbe accompagnato per tutta la vita: “La banda dei topi”.
Una speranza d’unione che gli dava la forza di andare avanti, nonostante il tempo passasse senza e che nessun cambiamento allietasse quella situazione.

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