
Lettera aperta a Roberto Saviano, autore del libro Gomorra edito da Mondadori
giovedì 23 novembre 2006, di rafael navio
Terra di Nessuno, 8 novembre 2006
Caro Roberto,
ti scrivo perché è giusto che io ti scriva, come membro della confraternita del Buon Babà, della Sfogliatella Croccante, e della pizza rigorosamente all’olio d’oliva e con la mozzarella di bufala Campana D.O.C.
E proprio per l’onore che rappresento di queste organizzazioni che voglio dirti grazie!
Grazie al tuo libro denuncia che finalmente ci ha aperto gli occhi, grazie al tuo impegno di cittadino dei quartieri alti, grazie al tuo parlare dal piedistallo che la tua famiglia ti ha donato fin dall’età più piccola.
Ma in tutti questi ringraziamenti, permettimi anche di rivolgerne uno al mitico Super Santos.
Chi è o che cos’è il mitico Super Santos?
Già, perché tu sicuramente non lo conosci!
Il Super Santos era adibito ai ragazzi delle strade periferiche. Scalzi d’estate e con gli stivali di plastica d’inverno. Pensa se ti coglieva un calcio, oppure scalzo se coglievi una pietra. Che partite di pallone che mi sono fatto! Facevamo cinquanta lire per uno per comprarlo.
L’unico problema di quel pallone era che si bucava spesso e bisognava fare una pezza di plastica a caldo; mio padre aveva una vecchia cucina a gas, dove riscaldavo un coltello che passavo sul pallone e poi immediatamente ci mettevo su la pezza dello stesso materiale. Dovevi essere veloce altrimenti non prendeva, non s’incollava.
Ero piccolo e gli amici mi chiamavano De Napoli, in onore del nostro centrocampista del Napoli D’oro, quando andavamo a vincere a Milano e a Torino. Ho la sua stessa mandibola, pure come Totò. Me lo ha detto tanti anni fa il professor Gomboss, un luminare internazionale. E’di Sorrento. Se non avevi soldi non li prendeva. Ha aiutato un sacco di bambini senza il palato.
Questo ci fa onore!
Ma tralasciamo.
Che tempi!
Chissà tuo padre dottore, quanti biglietti in regalo ha avuto, in tribuna Posillipo. E’ il punto migliore al S. Paolo per vedere la partita. Io non ho mai potuto vedere Diego dal vivo.
Già lo immagino: dottò (dottore) questo è un regalo, portate il ragazzo a vedere il grande Diego. DIEGO MARADONA, O’ RE’ E NAPULE ( Diego Maradona, il Re di Napoli).
No, io invece non ci sono mai andato, dovevo fare le pezze al Super Santos, perché sulle spine di rose si bucava che era una bellezza e io, Nando De Napoli, ero il numero uno a fare le pezze.
Ma più mi facevo grande e più perdevo tempo a fare le pezze.
E i compagni gridavano: UE’, DE NAPOLI, VUO’ ASCI’ ? ( De Napoli, vuoi uscire in fretta?)
No, più mi facevo grande e più perdevo tempo.
Diventavo lentissimo, e le pezze di bucatura al Super Santos mi riuscivano sempre peggio. Dopo un poco l’aria cominciava a schizzare dal buco peggio di prima.
Ah, mannagggia!
Non ti ho spiegato che dopo la pezza, noi andavamo dal meccanico Tore Marmitta (Tore=Salvatore) e gonfiavamo il pallone con il compressore. Comprendi la pressione che quella povera pezza doveva sopportare? No, non penso.
Come penso, se n’avessi avuto possibilità, che non avresti mai compreso chi fossero quei due uomini che ogni mese venivano a trovare mio padre. Li avevo visti fin da bambino, pensavo che fossero amici. Ma, con l’età, più sbagliavo le pezze e più riuscivo a comprendere la realtà. E il perché lui subito dopo diventava cupo e triste, e mia madre piangeva. No, tu sei figlio di dottore, non puoi comprendere.
Qualcuno dopo la visita di quei due si è anche impiccato.
Deve essere triste scrivere di qualcosa di cui non si ha la minima conoscenza.
La conoscenza di quelle serate fredde e con poco cibo, perché i conti non tornavano. Le serate dei commercianti Campani.
Chi aveva il posto fisso era un signore!
I fagioli a pranzo e a cena. I libri usati. Gli scherni per i vestiti delle bancarelle del mercato. Il terremoto che ci ha lasciato senza casa. Il panettone a Natale e la Colomba a Pasqua, erano un miracolo. Oggi si buttano!
E in più, aggiungici la visita di fine mese. E dopo tutto questo, devo leggere da un libro che sa di plastica che mio padre è un codardo perché ha tenuto la bocca chiusa.
Dopo che lui ha preso i mattoni sulle spalle per aiutare la piccola e quasi fallita salumeria di mia madre, e poi si è imbarcato. Senza previdenza sociale. Il capitano gli aveva detto che se lo trovava la Marittima si doveva buttare a mare, altrimenti lo avrebbe denunciato come clandestino. Che testone, non la voleva chiudere, per non fare brutta figura. No, caro Roberto il tuo libro sa di non conoscenza del campo di battaglia. Hai scritto di cose vecchie passate, di nomi che in Campania non sono più nomi. Hai usato la disperazione dei poveri, degli sfruttati; se avessi usato il cuore, ti avrei ammirato.
Già, il cuore…
Riguardo alla mia famiglia, forse sarebbe andata meglio se non avessimo avuto quella visita di fine mese. Ma tu che ne sai, caro Roberto Saviano. Non hai mai fatto le pezze al Super Santos.
Rafale Navio, scrittore.
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